Come quelle coppie di giapponesi vestiti uguali con le scarpe da ginnastica gialle, i bermuda di jeans e la maglietta bianca con su scritto SUPREME. Mentre guardano insieme uno di quei video demenziali che vanno di moda nel loro Paese e ridono in quella lingua strana in cui una volta ho preso 29. Lo sai che in giapponese ci sono tre alfabeti diversi? Uno si chiama kanji, kanji con la k ed è fatto solo di segni. Disegni. Che sono parole, tratti, suoni e concetti che nella realtà esistono veramente. Come le cose che mi dici quando mi guardi per sbaglio e tutti i baci che non mi hai morsicato quando eravamo tra la gente perché non si fa. Dici. E mi sfioravi però. E dissimulavi tocchi di distrazione, perché non si fa! Dici.
Le tue dita intorno alla bic nera, i ricci biondi che intanto si attorcigliano e creano poesia, la lingua che lecca la cartina con dentro una quantità indeterminata di tabacco. Come fai tu a decidere quante boccate devi fare per provare abbastanza piacere? Quante te mi servono per poter respirare anche quando ho gli occhi aperti quest’entusiasmo che mi riconosci ma che mi ha già nauseato da millenni? Il tuo strabismo per vedere dritto guardando da qualche altra parte. Il filtrino della sigaretta che stai costruendo per proteggerti dal male, dal troppo poco, creare una distanza di sicurezza tra te e il resto di tutto quello che non è come noi.
Sulla banchina della stazione un tipo nero lungo lungo sta scattando una foto ad un suo amico immobile di fronte. Gli guardo le spalle in silenzio sporgendo la testa dal finestrino di questo treno che tra tre-due-uno, è diventato lo sfondo del ritratto di uno sconosciuto che mi dà le spalle. E divento sfondo anch’io con la testa piegata da un lato a sorridere a gente che domani si chiederà chi sono. Chi sono? “Sei come me!” mi hai detto, senza nemmeno guardarmi mentre saltavo ad occhi chiusi il muretto dei miei perché. Senza appoggiarmi sul braccio sinistro, come fai tu che sai come difenderti. No, io un treno senza binari, folle e sprezzante, con dentro una fornace che porta il tuo nome e che carico a tuo piacimento. Ogni tanto accelero la corsa su paesaggi che gli altri non vedono neppure ma credimi, esistono davvero. Le case di marzapane e gli unicorni nel parco. Lo sai vero? Che a quanto pare il cervello non riesce a distinguere tra ciò che è e ciò che non è. Se ti dico che ci siamo allora esisto veramente. No?
Il giapponese con la maglia bianca con su scritto SUPREME è rimasto solo, forse la giapponese con la maglia uguale alla sua non è mai esistita. Eppure c’era, credimi, l’ho vista, sarà scesa a qualche fermata della mente e poi boh, non t’ho vista più.
Cristina Carlà
Foto di Alessandro Comandini