Per mia fortuna, ho sempre abitato vicino al mare. Da quando ho memoria, il primo pensiero del mattino è sempre stato quello di scendere al porto. Superavo i banchi dei mercanti e le casse dei pescatori, non guardavo neanche dove mettevo i piedi. Dovevo solo raggiungere il molo e osservarla. Non avrei mai saputo immaginare una giornata senza averla vista. Quella Linea Sottile era il mio magnete. Non era colpa mia: mi chiamava! A quattordici anni salpai per la prima volta. Speravo di accarezzarla, ma per quanto allungassi il braccio la sentivo distante.
Da quel momento ho cambiato molte volte il mio nome, tante quanti sono i porti in cui sono approdato, ma l’ago della mia bussola puntava sempre verso lei.
Poi, un giorno, mia moglie morì.
Ma più del suo profumo, chiudendo gli occhi, io rivedo quella Linea Sottile che mi beffeggia da quando ne ho memoria. Nella mia mente posso vederla nitida in tutte le sue espressioni.
La ricordo timida, nelle giornate uggiose, confondersi tra il grigio del cielo e del mare, evanescente, come mia madre tra i fumi delle sue zuppe. L’ho vista rabbiosa e tinta del rosso porpora del sole, che opponeva le ultime resistenze al giungere inesorabile delle notti senza luna, quelle che cancellano qualsiasi cosa visibile fino al mattino seguente. E poi severa, con quel tratto preciso e pulito, un taglio netto come faceva mio padre con le stoffe. Oppure interrotta dalle vele delle navi, che imprimevano tante piccole virgole sul suo profilo, illuminandola di altrettanti sorrisi.
La ricordo in tanti modi, tanti quanti ne ricordo per me.
Ho 41 anni, ho negli occhi le carte del naufrago, nelle orecchie le parole di mio fratello, sulle spalle circa due mesi di navigazione e nel cuore quella Linea Sottile, unico punto fisso della mia intera esistenza. È il 10 ottobre del 1492 e forse su queste navi io, Cristoforo, sono l’unico a crederci ancora, ma so che stavolta la Linea Sottile non mi beffeggerà.
Maria Michaela Pani
Foto di Monica Toscani