Non avevo mai compreso l’origine della sottile angoscia che si insinuava nei meandri oscuri della mente, quando capitavo sulla riva di un lago. Era sufficiente che lo sguardo seguisse il contorno imperfetto delle rive, si posasse sulla quiete azzurra di quello specchio di cielo ed ecco che il desiderio di scappar via lievitava come pane acerbo. Avevo provato con la classica passeggiata di circumnavigazione che gira gira, ti riporta al punto di partenza, ma non era servito a niente, anzi, l’avvicinarsi alla meta, invece di suscitare gioia per il termine di ogni fatica, mi provocava malesseri acuti e incomprensibili. E così furono solo fiumi. Là, insieme all’acqua che va soltanto e sempre nella stessa direzione, mi sembrava di cogliere l’essenza stessa della vita: l’inarrestabile andare delle cose e del tempo senza nessuna possibilità di tornare indietro, in un presente fragile, fugace e affascinante. Così andò per un lungo tratto, fino a quando, voltandomi indietro, non trovai nessuna traccia di tutti i volti, i corpi e le parole che mi avevano accompagnato. Ebbi paura e mi prese forte la nostalgia di tutto ciò che era stato, compresi i tradimenti, le vigliaccherie, le menzogne e le fughe.
Non era più il tempo della linea retta che non deflette, occorreva un’altra figura geometrica che consentisse di rabbrividire poggiando i piedi sulle impronte lasciate e dimenticate e che invece erano rimaste lì come se aspettassero i passi di chi le aveva stampate nel fango. Avevo bisogno della perfezione del cerchio per guardare l’indicibile bellezza della mia vita imperfetta di cui non riuscivo a cogliere il senso. Forse era stato solo un esercizio per conquistare il coraggio di girare in tondo e non dimenticare. Potevo finalmente passeggiare sulle rive del lago. Ora potevo farlo.
Claudio Leoni
Foto di Giovanna di Giacomo