Il sogno era tornato cinque volte quella notte, ma il Sognatore non aveva colto in quella ossessiva ripetizione, i caratteri dell’annuncio e della profezia. Eppure per cinque volte la fenice si era accovacciata nel suo nido, per cinque volte le fiamme l’avevano divorata e per cinque volte, proprio quando il miracolo della resurrezione stava per compiersi, il sogno era ricominciato da capo, senza riguardi e senza pietà per quel grigio, inanimato mucchietto di cenere.
Il Sognatore aveva aperto gli occhi con tempismo cinematografico alla fine della quinta scena e poco prima che la sesta avesse inizio. Lei lo attendeva già immersa nel giorno e nella realtà che appariva ancor più concreta e spigolosa a causa di quelle mani strette a pugno intorno alle maniglie di due pesanti valige. Era stata chiara, precisa, essenziale. Come sempre. E come sempre non aveva mai distolto lo sguardo né mutato il tono di voce.
– Anche tu lo sai. È finita. Non vale la pena continuare. Me ne vado. Non ti amo più. Non ci amiamo più.
Le parole continuarono a risuonare mentre l’ascensore si fermava al piano e proseguirono con la stessa ferocia quando le ruote del trolley incontrarono la superficie sconnessa del marciapiede e nel silenzio assoluto dell’assenza era possibile distinguerle con la stessa potenza con cui erano state pronunciate. Lui, immobile, ancora con un piede nel sogno, si era lentamente accartocciato come una foglia a contatto con il fuoco, che per un attimo prova a resistere ma raggiunge in un lampo quell’ultimo, irreversibile stadio dove ogni materia perde le sue caratteristiche ed è impossibile tornare indietro. Non era più carne, cervello, occhi e cuore. Era solo un ammasso di cenere incapace di camminare al ritmo dei sogni. Peccato! Laggiù, dentro la sesta scena del sogno, il prodigio era già avvenuto e la fenice, con tutte le mille piume dorate, stava spiccando il volo.
Claudio Leoni
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