Le radici del silenzio

Enigmatico, contraddittorio, onnipresente.

Il silenzio, involontario o ricercato, è un immenso di sfumature dai confini flebili, dall’orizzonte in(de)finito, dalle radici profonde. È ovunque ed è sempre. Palese e concreto nei paesaggi privi di umana presenza, latente ma altrettanto vivo, palpabile, nel cuore della civiltà, laddove paradossalmente sembra predominare il rumore, il frastuono, il caos, il silenzio è componente imprescindibile del nostro stesso esistere. Ed è proprio dove lo si cerca invano di coprire, là dove si erge il rumore a baluardo, dove con ostinata frenesia si cerca di colmare i vuoti, gli interstizi, a protezione della nostra individualità, che il silenzio irrompe con persistente determinazione e prepotenza.

A tratti rassegnato o compiacente, il silenzio racchiude la nostra intimità più profonda, i sogni, le aspettative, le paure, tutto ciò che non siamo in grado di affrontare, di gestire, di superare. Nella sua apparente inconsistenza, nel suo essere sospensione, appiglio, scusa, il silenzio è il mezzo di espressione più potente quanto impari che abbiamo a nostra disposizione; privandoci delle parole, dei suoni, del rumore, offrendosi come maschera, come protezione e difesa della sensibilità individuale, ci coglie impreparati, ci denuda in tutta la nostra debolezza e fragilità, facendoci apparire per ciò che siamo: nient’altro che esseri umani insicuri, deboli, effimeri. Il silenzio ci racconta di noi e, quando usato come via di fuga, nascondiglio, espediente, ci insegna che, se possiamo scappare da tutto e tutti, non possiamo però scappare da noi stessi, dalle nostre radici. Non possiamo vincere il silenzio, perché il silenzio è parte di noi, è la voce sorda della nostra interiorità, il nostro io primordiale. Con il silenzio, dobbiamo solo fare pace. E se impariamo ad accettarlo, ascoltarlo e comprenderlo, il silenzio diventerà un compagno imprescindibile nella scoperta di se stessi.

 

Alessandra Rinaldini

Foto di Laura Gibellini

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