Un alpinista che non vorrà quella vetta ma solo il rischio di cadere giù

“Un alpinista che non vorrà quella vetta ma solo il rischio di cadere giù”: così si chiude l’ultimo disco dei Fast Animals and Slow Kids, ed è così che ho sempre concepito il viaggio. Avere paura di cadere giù significa automaticamente realizzare di essere vivo, di stare rischiando qualcosa, di avere qualcosa da rischiare, e forse di avere qualcosa per la quale rischiare.

Mi capita spesso di viaggiare da solo, e la prima domanda, più o meno ironica, che mi fanno quando ne comunico l’intenzione è “ma lo fai per ritrovare te stesso?”. Io credo invece che per viaggiare e stare bene da soli sia necessario essersi già trovati, perché il viaggio in solitaria serve più che altro a cercare gli altri, la loro cultura, il loro cibo, la loro musica, il modo in cui fanno il caffè, i film che guardano.

Viaggiare significa anche combattere una delle caratteristiche più tipiche e forse anche più pericolose dell’essere umano: l’abitudine. E’ il pilota automatico che ti adagia sul divano e ti mette le pantofole, ma che poi ti affonda piano piano. Il viaggio è tutto lì, alzarsi dal divano, mettersi un paio di scarpe comode e camminare verso un punto non troppo definito, magari lasciando lì sul divano il telecomando del televisore e il pigiama preferito.

Ho sempre pensato che le troppe certezze tutto sommato logorino l’anima, perché in qualche modo ti costringono a camminare sullo stesso percorso tutti i giorni, e forse limitano le opportunità di conoscenza: come dice Federico Buffa, viaggiare e conoscere sono due declinazioni diverse dello stesso concetto, e per noi, per la nostra generazione, è un obbligo morale farlo.

 

Antonello d’Ippolito

Foto di Luigi Ghirri

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