Non è paura, ansia, angoscia. Nemmeno senso di perdita o di sconfitta. E neppure sensazione di abbandono e di fine. È solo nostalgia. È iniziata in modo etereo, non appena la nave ha lasciato il porto e con una lentezza che lascia presagire quasi un ripensamento, ha piegato verso destra e il mare aperto si è fatto vivo come una allucinazione. La scia, per fortuna la scia si è materializzata. Germinata dal fondo e aizzata dall’elica, resta viva e coriacea per un tempo infinito e s’allunga là dietro la poppa, incurante delle onde e dello spazio. Segna l’enorme distanza dal porto che ormai non si distingue nemmeno. La nave prosegue verso una destinazione invisibile trattenuta solo da quel sentiero biancheggiante alle spalle, che ancora suggerisce l’idea di pietra, cemento, gomene attorcigliate e immobili e soprattutto di terra.
Lui, l’uomo, appoggiato alla murata, non ha mai abbandonato, neanche per un attimo, quell’ombelico di spuma serpeggiante che lo tiene unito alle certezze e non ha mangiato né bevuto e adesso che la notte è improvvisamente arrivata e il profumo della salsedine non lascia scampo, ha deciso di sedersi. Lo ha fatto con riluttanza come fosse una resa o un abbandono. La scia, ingoiata dal buio, continua a naufragareed ora è soltanto un breve lampo bianchiccio affidato alla lampada di poppa che sciabola il suo raggio su quel poco che resta, mentre la nave corre incontro al nulla e l’unica cosa a cui aggrapparsi è quella debole falce di luna. Non basta quel liquido misterioso che lo sostiene a consolare perdite e distanze, a fornire una porta da aprire, un selciato da calpestare, un riposo.
Ora lui, l’uomo, sembra dormire se non fosse per quella mano artigliata al ferro del parapetto che sa di vernice data da poco e fumo di ciminiera, ma in mezzo a quel tempo sospeso, improvvisamente un tremito di vita sembra attraversarlo perché di colpo si è sollevato e, dopo una breve incertezza, si è diretto a prua dove la velocità della nave produce freddo e vento. Là davanti scruta l’orizzonte assolutamente vuoto, poi annusa la notte con selvaggia sapienza animale. Lungo le vie dell’aria un sentore di origano arriva potente come uno schiaffo. È fatto di colline assolate, di campanacci e pelo di capra, di rocce bianche e ulivi guerrieri. Laggiù dove non c’è ancora niente, la terra chiama con la sua inconfondibile voce divina e solo allora, lui, l’uomo, può affidarsi al sonno e al sogno dolce del risveglio.
Claudio Leoni
Foto di Damiano Priori