ASHES

Dei rami morti che vedete per terra non voglio buttar nulla. Ne farò legna da ardere per quando arriverà l’inverno e quel freddo che ti ghiaccia il cuore, ne rallenta i battiti e ti poggia una patina grigia davanti agli occhi cosicché il mondo e le persone ti sembreranno tutti sbiaditi. Quel tipo di freddo che senti nelle ossa quando improvvisamente si spegne la brace e inizi a tremolare sotto il taglio della tramontana. Voglio recuperare tutto quello che posso e ammassare gli scarti, aspettare il vento giusto e poi accendere un rogo. Enorme. Ci vorrà tempo, pazienza e fatica, ma con quella cenere concimerò la mia terra e gli stessi alberi che ho appena potato. Poi la mischierò a secchi d’acqua bollente e ne farò liscivia, sapone sgrassante per capelli più belli e lenzuola profumate.

Dalla cenere dipendono molte cose, persino i sogni che facciamo la notte e l’immagine che abbiamo di noi stessi. Altrimenti che senso ha? Sperimentare la delusione, il superfluo e i fallimenti, tutto quello che abbiamo sbagliato o che non è andato come avevamo preventivato. Che senso ha se non lo guardiamo in faccia e non ce la giriamo in mano in modo che non ci sfugga niente, nemmeno l’ombra che si nasconde dietro ad un angolo? Che bruci quel che resta, che diventi cosa deve diventare e che si disperda sulle nostre vite. Possiamo fare soltanto una cosa, noi: cadere ogni volta in un punto diverso. E allora accendiamo la scintilla, vediamo quanto riscalda questo fuoco fatto di rimasugli. Che bruci, che bruci tutto, perché con la cenere di oggi vorrei benedire le parole e i gesti che ho previsto per domani.

Cristina Carlà

Foto di Rinko Kauwauchi (dal web)

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