“Caminante, no hay camino. El camino se hace andando.” Pellegrino, il cammino non esiste, il cammino si fa camminando.
Questa frase mi riecheggia in testa dai primi giorni, da quando qualcuno me l’ha riferita in una conversazione. L’insegnamento, alla fine, è tutto qui. E lo sai dal principio, eppure pensi ad altro, camminando. Pensi “il cammino esiste eccome, lo seguo tutte le mattine indicato da frecce gialle dipinte a mano da chissà chi, un gesto che si ripete da secoli”. Pensi “il cammino esiste, quello del nord parte da Irún e arriva a Santiago, 830 km, lo seguiamo tutti noi, che ci incontriamo e ci perdiamo lungo la strada”. E così, presi dall’ovvia verosimiglianza di questa verità, dimentichiamo che “il cammino si fa camminando”. E alle soste, negli ostelli, negli albergue, alle caffetterie, stiamo lì a chiederci tu quando hai iniziato, tu dove arrivi, io faccio quaranta chilometri al giorno su una gamba sola in apnea ma resto umile, tu? E diventa una competizione, la valutazione di una performance, un vanto. Io e mia sorella siamo al sicuro da questo pericolo e non perché siamo animi più elevati di altri, ma semplicemente perché non siamo performanti. Noi facciamo al massimo 20 km al giorno, roba da pivelle, e pure i vecchietti del paese ci superano, saltellanti e senza bastone, mentre noi arranchiamo appese alle racchette da trekking. Scherzando dico agli altri caminantes che noi siamo le nonne Abelarde, le mascotte del cammino del Nord, e così taglio corto su eventuali classifiche di olimpiadi a cui io ho scelto felicemente di non partecipare.
“Il cammino si fa camminando”. Ognuno con il suo passo, con il suo andare. Diretti alla meta condivisa, racchiusi in un disegno più grande che ci contiene e che ci riguarda. No hay camino. Non c’è il cammino. Forse c’è la strada che si sceglie di percorrere. Ognuno con il suo andamento. Ed è bello così.
E comunque abbiamo percorso più di 200 km a piedi, siamo a 100 km da Santiago e siamo felici.
¡Adelante!
Silvia Ianniello
Foto di Theo Gosselin