Fino a qualche decennio fa, nel panorama letterario italiano, passeggiava uno scrittore molto particolare chiamato Paolo Volponi. Alcuni raccontano che tra una strana flânerie e l’altra arrivasse addirittura ad abbracciare piante di rosmarino messe sui davanzali altrui, tanto rispettava tutto ciò che la natura può offrire. Nel fare questo, più che dimostrare un affetto naif, sembrava chiedere scusa a quella natura che in un suo romanzo del 1978 era stata ridotta allo stremo dalla furia devastatrice dell’uomo. Il pianeta irritabile comincia, anno 2293, con uno scenario desolato, al quale fa da sfondo l’estinzione della razza umana. Su questa terra, resa inospitale da un conflitto atomico mondiale, rimangono diversi sopravvissuti. Tra di loro c’è il Governatore Moneta, una sorta di grande leader che sogna di raggiungere un nuovo pianeta con l’intenzione di continuare la vecchia abitudine dello sfruttamento a vantaggio di un proprio profitto.
Qualche volta più di un essere umano ha immaginato il raggiungimento di altri pianeti: utopia, paura e desiderio di rifondare una società più giusta su un altrove incontaminato, sono i ponti sui quali cammina questo sogno ad occhi aperti. Ma tra le pieghe di questo pensiero fantastico spesso si nasconde una strana e lontana nostalgia: immaginando altri pianeti si sente già la mancanza della Terra che si è appena lasciata, così come i quattro eroi de Il pianeta irritabile ( un nano, un elefante, una scimmia e un’oca) sentono la mancanza per una Terra che non c’è più. Il loro rimpianto, allora, è come un atto d’amore mancato: vivono una perdita e la sola cosa che possono fare è proiettarsi nel ricordo di un tempo che è stato più felice.
Il panorama di cenere e deserto, fortunatamente, rimane tra le pagine del libro. Ma, come qualche volta capita di constatare, la letteratura può aprire, nel bene o nel male, scenari ed orizzonti prossimi ai mondi del possibile. Allora, scansata un attimo la distopia, imparare il messaggio lasciato da Volponi è un atto di rispettosa saggezza: se non abbracciare piante di rosmarino, almeno rimanere con i piedi ancorati a Terra, con l’impegno di migliorarla sempre, senza pretendere di dover trarre più di quanto lei può dare.
di Mario Cianfoni