Phobos è una delle due lune di Marte, la più prossima. Tutta ammaccata, sembra un grande sasso. Qualcuno nel 2004 ha pensato che forse un pezzo di Phobos è caduto in territorio sovietico nel 1980, ma altri hanno pensato di no. Phobos è pieno di buchi e tutti i buchi hanno un nome come Clustril, D’Arrest, Drunlo, Flimnap, Öpik; alcuni sono personaggi del libro I viaggi di Gulliver, per quella storia che Swift si era inventato – a dire il vero fu Keplero, prima di lui – questi due satelliti che ruotavano attorno a Marte e li aveva fatti comparire nel libro prima ancora che l’esistenza delle due lune fosse confermata dagli scienziati, altri crateri hanno il nome di alcuni astronomi, altri due ancora sono stati rinominati in onore dello scopritore di Phobos e Deimos e di sua moglie Angeline, un ultimo porta proprio il nome di Keplero. Phobos è anche pieno di cicatrici, smagliature lunari, lunghi solchi che sezionano il terreno. Sembra che una forza interna stia segando la luna in due, cento o mille e più pezzi e quando si sarà sbriciolata diventerà una cosa diversa, avrà un altro nome e una nuova vita. Forse tra trentamila o cinquantamila anni tutti i frammenti e le polveri continueranno a ruotare intorno al pianeta rosso e ne costituiranno il suo primo anello, che viene quasi da dire “Phobos, put a ring on it” (mi fa ridere solo a me?), forse succederà una cosa contraria.
Provo a cercare una connessione tra me e tutti i fenomeni dell’universo e percepisco la stessa forza, interna e contraria al mio moto, che apre e taglia e mi fa mollica e so dire cosa l’ha generata e so dire come andrà a finire. Con me Phobos, la paura, con me Deimos, il terrore.
di Sofia Bucci
Foto: Ryan McGinley