La prima e l’ultima volta

Ricordo la prima volta che ho capito che vivevo, veramente dico, che la vita non è un gioco. Avevo 13 anni, ero davanti alla commissione per esame di terza media, dopo aver fatto scena muta, rimasi sola nella stanza, dove per la prima volta capii che quella era la mia vita e che quei sogni di cui tanto sentivo parlare nei libri delle favole, quelle grandi gesta nei libri di epica forse potevano far parte della mia vita.

Ricordo il primo giorno in cui mi sono sentita grande, avevo 18 anni e avevo appena varcato la soglia delle scuole superiori, ero piena di speranze e lasciavo dietro di me quella bambina che ero stata, piccola indifesa e senza sogni. Ricordo la prima che volta che ho detto “Ti amo” al mio vicino di banco durante l’ora di religione, era così nuova quell’ emozione, pura, così tanto che non mi capitò più di provarlo. Ricordo la prima volta che mi sentii sola. La prima che volta che guardandomi allo specchio non mi riconobbi più, esile, il viso scavato e gli occhi vuoti. Ricordo il primo esame all’università. Ricordo i km fatti a piedi per dimenticare, per non pensare, per rincorrere l’amore, per scappare da esso. La prima volta che mi innamorai da grande, era diverso, faceva più paura. La prima volta che mi mancò l’aria. E la prima volta che ricevetti una carezza da mio padre, una mano ruvida da orco, ma calda. La prima volta che ho scritto. La prima volta che ho provato a realizzare il mio sogno, avevo appena venti anni presi il computer e con un desiderio profondo salvai le mie parole su una pennetta e corsi verso la cartoleria. Dissi: “Vorrei stampare questo documento: un viaggio verso l’ignoto”. Le mie parole si attaccavano a quelle pagine bianche, sembravano quasi uccelli che volavano. Quel giorno c’era una cuore pieno di sogni. La prima volta che non ho avuto fiducia, la prima volta che ho dato ascolto. La prima volta che sono stata chiamata zia, amica, amore, figlia. La prima volta che ho avuto paura. La prima volta che ho avuto piacere a stare sola. La prima volta che ho deciso di non scappare.

E poi le ultimi volte, quelle sono difficili da ricordare perché non sai mai quando sarà l’ultima volta e ti ripeti che avresti voluto dare un ultimo abbraccio un ultimo bacio, guardare meglio, ascoltare di più. Venti anni fa fu l’ultima volta vidi mia nonna. L’ultima volta che vidi l’amore, quello lo ricordo bene, le spalle voltate e la testa bassa e io lo guardavo dallo specchietto della macchina, bhe quella fu una brutta ultima volta. L’ultima volta che vidi il mio sorriso svanire, non ricordo come successe, ma ricordo che me ne resi conto quasi troppo tardi. L’ultima volta che provai l’incoscienza da bambina. L’ultima volta che ho avuto paura, nonostante continuasse a vivere nel profondo silenzioso e calmo.

Ricordi, ricordi, in fondo cos’altro ci rimane se non i ricordi che rimangono li impressi nella nostra memoria, i ricordi delle persone che ci hanno accompagnato nei periodo più o meno lunghi del nostro percorso, quei ricordi che ti cambiano per sempre. Quelli che ti lasciano ore seduto al porticato di casa con la testa immersa in un turbine di ricordi. Quelli che ti fanno crescere, che ti fanno stare male, che ti legano ad un nonno che ti racconta la sua guerra, quelle di una madre che ti racconta il suo essere figlia. Questo ci rimane, ricordi da poter condividere un giorno a tavola con i nostri nipoti, la moglie di una vita. Così guardandoci negli occhi, stringendo i cuori, perché è lì che regna la memoria. Come diceva Oscar Wilde “la memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé”.

 

Dorina Deda

Foto: Sketchbook di Paul Gaugein

 

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