Un pugno di terra

Ogni tanto mi torna in mente questa cosa che facevo da bambina.
La maestra di scienze ci aveva dato il compito a casa, un esperimento: prendi i semi, prendi una vaschetta, prendi del cotone, appoggia i semi sul cotone, bagnali. All’inizio l’involucro si spaccava e lasciava intravedere il germoglio. Il germoglio puntava il cielo, poi si curvava verso il cotone, verso l’acqua, si piantava dentro e iniziava a crescere, con l’involucro in testa come un cappello della misura sbagliata. Mi svegliavo la mattina e correvo a vedere i miei germogli, a misurarne lo spessore del fusto, quanto fossero verdi, a osservare il modo in cui tutti tendevano verso uno stesso centro finendo per incastrarsi, intricati, e pensavo che fosse quello il motivo per cui ogni volta morivano, la mancanza di spazio, di ossigeno, la stretta intorno al collo di germoglio. Ho provato ad allontanarli, non capivo che quello che mancava loro era una qualche forma di nutrimento. Le parole, in questo momento, sarebbero cotone. Pianterei i nostri semi e germoglierebbero e mi stupirei della velocità della loro crescita, li innaffierei con altre parole ancora, li guarderei morire – non sarebbe la prima volta – non tollererei il dolore di quella morte.
C’è un numero preciso di tragedie che posso sopportare – ho scritto: tragedie, perchè nella parola tragedia sono nascoste le parole penetraretrapassareferireuccidere. Due sono nostre, due non lo sono. E allora vorrei semplicemente incontrarti, con il pugno pieno di terra. Chiederti di mostrarmi le mani che nascondi dietro la schiena, scoprire che in una, quella che non deve intrecciarsi alla mia, è racchiuso un pugno di terra.
I semi li abbiamo, la terra la avremo, devo solo avere pazienza, ricordarmi che ci sono cose che non possono scrivere, se non quando i germogli non saranno piante, piantate, intrecciate nelle radici: sotto terra. Per fiorire, costruire, nascere, sbocciare, crescere, intrecciarsi.

 

Sofia Bucci

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