Molte delle strade di cui mi accorgo orami non sono più percorribili, se non con l’occhio di chi ha una nostalgia “delle cose che non ebbero mai un cominciamento”. Nella pura sospensione degli eventi, così, colto all’improvviso dal sogno dei momenti di riluttanza, volevo squadrarmi il mento, sentire l’inno di qualche marcia inglese, un sussurro, invertire il senso di marcia.
E godo dell’immagine accidiosa delle rovine, così come appaiono sulle alture, perché occultatrici di vie segrete, tra la routine forfettaria del fattone di provincia e la coppia così dark da far nero il cielo:
nel sentimento di chi percepisce la presenza di das ding nell’impasto della calce del romano antico e nei sepolcri decantati al tramonto come coppe di vino caldo al sole, s’accende l’incanto mostruoso del perturbante, come la magia del decadente negli scorci di Coleman, che tanto risuona negli starnuti dei passanti. Perché un giorno si levò un urlo di un dolore tremendo che dalla città tornava alla natura come fosse un coito di ricongiungimento all’insensato. É così rimase iscritto sulla pietra nera, nell’antica lingua fatta di geroglifici: è incomprensibile.
E godo dell’immagine accidiosa delle rovine, così come appaiono sulle alture, perché occultatrici di vie segrete, tra la routine forfettaria del fattone di provincia e la coppia così dark da far nero il cielo:
nel sentimento di chi percepisce la presenza di das ding nell’impasto della calce del romano antico e nei sepolcri decantati al tramonto come coppe di vino caldo al sole, s’accende l’incanto mostruoso del perturbante, come la magia del decadente negli scorci di Coleman, che tanto risuona negli starnuti dei passanti. Perché un giorno si levò un urlo di un dolore tremendo che dalla città tornava alla natura come fosse un coito di ricongiungimento all’insensato. É così rimase iscritto sulla pietra nera, nell’antica lingua fatta di geroglifici: è incomprensibile.
Gabriele Romani
Foto di Vivien Maier