Ho dodici centimetri di cicatrice da taglio cesareo. Quando la Luna governa le mie acque la cicatrice si risveglia e rivendica la sua posizione, suscitando ricordi di tagli ai tessuti, a tutti gli strati che proteggono l’utero.
Sono ricordi di ventisei lune fa. La memoria scalcia dentro di me. In quel giorno ho scoperto di non avere una sola bocca. Erano due, si aprivano, si chiudevano, si aprivano, si richiudevano, serrate, ricucite, sfinite. Come in tutte le nascite sono richiesti dolori amici, sangue e vita.
Mi ricordo di aver maledetto le grinfie del bisturi affilato. Non volevo che niente entrasse in me, solo che uscisse qualcuno. Ma non controllavo più nulla, il mio corpo sollevato da mani forti sopra un lettino. Qualcosa è entrato in me: lame, leve, mani con guanti. Hanno aperto una bocca nuova. Immagino la carne che si lacera e sorride. Da quella bocca senza labbra né denti emerge qualcuno che piange, una bocca con labbra minuscole, senza denti. Emerge sangue e vita nuova.
Un taglio, una fessura da cui entra uno spiraglio di luce, là dove dà millenni regna il buio. Solo ora riesco a pensare che quel taglio ha portato la luce, e tutte le luci proiettano ombra. E quella luce è rimasta lì, insieme all’ombra, in quei giorni non c’era né sangue, né vita, ma solo dolori nemici. Mettevo le mani sulla ferita attraverso strati di garze, pigiami, lenzuoli e sentivo il pullulare della decomposizione. Nell’utero c’era qualcosa di morto, cellule, globuli rossi, epidermide, una parte di me. Una grande parte di me è dovuta soccombere per diventare madre e risiede là, insieme alla luce e all’ombra, hanno ricucito bene.
Oggi guardo la cicatrice, questa bocca chiusa da non vedersi quasi. Quei giorni deliranti sono nebulosi nella mia memoria. Sono entrata in un buco nero e ne sono uscita stravolta. Morta con la vita in braccio. Madre. Ma adesso la cicatrice ogni tanto mi strattona per ricordarmi che là dentro ciò che di me ho lasciato morire ha generato un fiotto di vita nuova. Oggi la mia bocca sorride alla cicatrice. E sono fiera di dire ad Agata che lei è emersa da quella linea nell’orizzonte che divide a metà il mio corpo. Sono risorta dal mio sangue. Con mia figlia io sono morta e con mia figlia io sono nata, dallo stesso ventre in cui l’ho accolta mi sono autogenerata. In questa storia il taglio cesareo è stato una ferita, una bocca, una tomba, un altare, una sorgente, una cicatrice di una battaglia che ho vinto.
Elisa Cappai
Foto dal web