Era lì la parola. Poteva percepirne l’impalpabile presenza, che vagava nebulosa come la sua mente, riflessa nel recipiente d’argento posto al di sotto del suo mento. Logos, il dio della parola, era stato invocato per riassumere in un solo termine un concetto ben preciso: quello di un attimo che emerge fra tutti gli altri attimi, manifestandosi nella sua diversità, come se si illuminasse e splendesse. E Logos sapeva che avrebbe trovato la parola esatta, doveva solo attendere che in quel recipiente, in cui si specchiava per riflettere, si formasse l’immagine in grado di ispirarlo. Vide in successione la luna, che riflette i raggi del sole e sembra brillare di luce propria, ma la scartò, troppo ingombrante; vide lo specchio, ma la sua superficie liscia e fredda era qualcosa di troppo limpido e regolare; infine vide un’onda che si infrangeva su uno scoglio. Sentì la violenza dell’urto, i suoi occhi si fecero pieni d’acqua di mare, nel recipiente penetrò la marea. Quando questa si ritirò, era rimasta un’impronta marina in cui poteva finalmente leggere la parola eletta: “Frangente”, l’onda del mare che si rovescia implacabile sullo scoglio. La prese in prestito, la rivestì di un raggio di sole, funzionava. “Frangente” rifletteva la luce e illuminava la nebbia della sua mente. Quell’attimo divenne frangente, risplendendo fra tutti gli altri, sopra a tutti gli altri. Logos si guardò sorridere nel riflesso e, in quell’istante, colei che lo aveva invocato scrisse che in quel frangente qualcosa di incommensurabile e irripetibile era accaduto. Mise un punto alla frase, scorse il proprio riflesso nel monitor del pc, sorrise.
Ilaria Pantusa
Foto di Angela Carotenuto