Sono giorni che cerchi di evitarmi. Non hai avuto il coraggio di specchiarti nei miei occhi. Ora, però, devi guardarmi. Sei furente, lo sento. Potrai sfogare ogni ira come sai fare solo con me. Sputami in faccia tutto il tuo odio. Liberati. Solo io ti ascolterò. Perché solo io ti ascolto, sempre. Ti vedo come nessun altro potrebbe mai. Piangente; coi capelli sparsi e avvinghiati al collo già irrigato, nelle movenze d’una Menade dalle vesti lacere. Gettami le mani al collo nel tentativo di soffocarmi. Ma soffocherai anche te. Ti si incastreranno le parole in gola. E per un istante sentirai scorrere, col sangue, la paura. Mi chiederai chi è la pazza tra noi due. Io dirò te e tu col dito indicherai me. Poi il silenzio. E tornerà la quiete. Un sorriso isterico solcherà l’arido viso e appoggeremo il palmo aperto sul vitreo metallo per poterci riconciliare. Non hai amica più fidata. Io sono l’altra parte. La primitiva causa d’ogni patire. Perché gli altri, plebaglia informe e massa amorfa di carne e ciarle, invece di curarsi della propria altra parte, vanno a indagare la tua. Me inquisiscono. Frugano nella tua anima con mani fangose e moleste. Per sottrarmi. Per demolirmi. Lasciando vuoto e sporcizia nelle tue cavità. Ma tu ricorda che non è uno specchio a legarci. Io non sono uno sciocco riflesso su una superficie scivolosa. Io rifletto dentro di te. Sono l’altra parte. Quella che da bambina disegnavi su un foglio con leggeri ed essenziali tratti per averla accanto. Per donarle una forma. Quella che è tua in ogni momento. Io sono te. Siamo un’unica cosa, nella nostra affollata solitudine che ci vede unite in un abbraccio, dove non si aprono squarci neanche per le parole.
Giorgia Pellorca
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