Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia che è la famiglia umana.
Vittorio Arrigoni
Il confine “più concreto” è probabilmente quello geografico, che definisce i contorni delle Nazioni separandole. Ma il confine può anche essere qualcosa di più astratto, che subisce l’influenza soggettiva dei singoli, assumendo più di un significato. Pensiamo a come cambia la concezione del confine dinanzi al fenomeno dell’immigrazione: da un lato c’è chi lo eleva a vero e proprio argine, limite invalicabile, scudo protettivo con il quale difendere valori, culture e tradizioni in una differenziazione continua con il resto del Mondo. Dall’altro, invece, c’è la concezione di chi fugge disperatamente da guerre, povertà e persecuzioni, che fa percepire quello stesso identico confine improvvisamente labile, niente di più di una linea immaginaria sulla terra, che nulla può dinanzi alla straordinaria voglia di vivere.
Il confine come sovrastruttura del pensiero dunque, che va abbattuto culturalmente quando diventa barriera, quando si riduce ad emblema della diversità. Da qualche giorno, per esempio, l’Italia ha una legge sulle unioni civili, che amplia la sfera dei diritti riconosciuti e segna così un altro confine che arricchisce la storia, quello che distingue un paese civile da un paese che invece non lo è. Quella stessa storia che sarà chiamata ancora a giudicare e a collocarci da una parte o dall’altra di quello che è forse il confine più labile di tutti, laddove la variabile soggettiva assume i suoi valori massimi: quello che separa ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e indirizza il nostro modo di vivere. Ma se è vero che la storia siamo noi, che siamo noi con le nostre scelte a determinarla, allora anche in questo caso non c’è confine che sembra tenere dinanzi a una così straordinaria voglia d’amore. D’altronde si sa, al cuore non si comanda.
Giorgio Zaccagnini