Veleno

-Dove?  Sussurrai con un filo di voce, mentre lei saliva sul bus trascinandosi appresso quello zaino sdrucito che non avrebbe cambiato per niente al mondo.

Dove? Ripetei, evidentemente con un briciolo di convinzione in più, visto che si era voltata fissandomi con due occhi senza espressione e senza risposte. Fu un attimo poi il ciuffo tornò al posto di prima e notai solo allora il nastro viola che teneva insieme tutto quell’intreccio di chiome. Mi sarei aspettato un saluto qualunque: un cenno con la mano, un sorriso a mezza bocca, una smorfia, un ciao, ma l’unica parola che riuscii ad ascoltare, forse in risposta alla mia domanda fu:

– Dappertutto!

Poi l’autobus si mise in moto e più rapidamente di quello che potessi immaginare, scomparve dietro la prima curva e non rimase nulla da vedere, solo olio bruciato e nafta e una strada che assomigliava al deserto. Fu olio bruciato e nafta quello che respirai nei giorni che seguirono, un veleno denso e persistente che all’inizio prese alloggio nella gola, poi nei polmoni, quindi nel sangue e alla fine prese possesso del cuore pompando odio in ogni cellula del corpo. Non riuscivo più a sorridere, a osservare il panorama, a gustare un piatto di spaghetti o un bicchiere di vino, a scambiare due chiacchiere con un altro essere umano. Ero diventato un grumo di rabbia, dolore e veleno, insomma vendetta!

Dappertutto, aveva detto. Dappertutto. E dappertutto la cercai, chilometro dopo chilometro: nei campeggi, negli ostelli, nelle stazioni piene di sacchi a pelo, di erba e di vino; lungo le vie del rock e dei concerti, delle notti infinite e delle allucinazioni. Poi finalmente la trovai mentre, in compagnia di un tipo barbuto, scompariva dentro una roulotte, lasciando per un millesimo di secondo che il nastro viola svolazzasse all’aria libera della sera. La prima reazione fu una specie di lacrimazione da ambedue gli occhi, una tachicardia oppressiva e alla fine sentii le unghie delle dita che si erano conficcate nel palmo delle mani. Raggomitolato in un prato umido e freddo architettavo distruzione, quando qualcuno mi pose addosso una coperta. Al buio non distinguevo bene la figura, mi parve un uomo, forse un ragazzo e strinsi gli occhi, scrutando nell’ombra un volto da ringraziare e l’ombra parlò.

Sei qui per vendicarti?

Mentre cercavo una risposta aggiunse:

Posso aiutarti a scavare.

Credo di aver scosso la testa e di avere accennato a una domanda che rimase muta.

Quando prendi la strada della vendetta scava due fosse! Stava già andando via quando aggiunse: Non è mia è di Confucio. Ad un fievole raggio di luna vidi che aveva sollevato la mano in segno di saluto e mi sembrò anche che sorridesse accarezzandosi la barba. Piansi. Non lo sapevo ancora, ma erano lacrime di consolazione.

 

Claudio Leoni

Foto di Gianpaolo Demma

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