Sideways

Siamo coperti da pelle e peli, forse più peli di quanti non ne avremmo bisogno, non ho mai avuto dubbi sul fatto che discendessimo dalle scimmie, in particolare è la mia discendenza che non lascia dubbi, specie quando faccio il bagno.

Oggi faccio una cosa che mi piace molto, cammino per le strade della mia città, guardo in giro e mi sento uno straniero. È una sensazione che non mi ha mai lasciato nei trenta anni in cui ho vissuto qui, nemmeno per un momento.

Eppure è un periodo tranquillo questo, per come lo può essere una fase in cui non si danneggia nessuno. La mia vita ha molti pezzetti sparsi su un sentiero, come se fossero segnali.

Il problema è che non portano a niente.

Poi la vedo. Una nave in bottiglia, vicino ad un secchione della spazzatura, e non è giusto.

La prendo, è perfetta, mi sembra di vedere i marinai dentro che corrono da una parte all’altra e di sentire il nostromo urlare.

La metto sottobraccio e vado al parco, spesso ho sognato di essere imbarcato su una nave di pirati, viaggiare per le sette leghe, vivere avventure, bere rum degno di questo nome, avere un pappagallo sulla spalla senza il timore di invecchiare avendone uno sotto le coperte, perché alcune vite bruciano in fretta e prendono tutto quando lo vogliono ma senza il minimo preavviso.

E poi in quella vita tu non ci sei, ci sono solo donne procaci senza troppe pretese e l’unico cuore che spezzano è uno tatuato sul braccio, ma dentro, dentro è un bel motore a vapore, non un battello, una locomotiva impazzita.

Ma è curiosa la vita, tu ci sei ed io sono solo un uomo sotto al mare, affondato senza essere il capitano di una nave che non esiste.

Una signora porta a spasso un cane con un cappotto a scacchi, sono belli i cani e mi chiedo se non hanno il senso della vergogna o, se solamente per rispetto, per amore incondizionato, non mandano a fare in culo certi padroni.

Le coppie ad un certo punto iniziano a fare troppe cose insieme, correre, leggere, commentare i vestiti delle ragazze con dubbio senso del decoro e degli abbinamenti finalmente ripuliti dagli anni ottanta (i peggiori, senza dubbio i peggiori… ma stanno tornando).

E poi non capisco questa necessità di baciarsi in pubblico guardando sottecchi altre persone, si ostenta sempre il candore dello sporco.

E adesso non mi toglie nessuno dalla mia grande fuga con questa barca, nemmeno gli anziani che guardano nel vuoto, o i bambini che urlano senza un perché, nemmeno le belle ragazze che lasciano dietro di loro un odore che stimola gli ormoni.

Un pensiero mi rallenta, o forse più il dato di fatto che i cinema di questa città impiegano troppo tempo a lamentarsi per proporre una buona programmazione. Tutta questa noncuranza va a discapito dei figli di buona famiglia il cui stato delle cose già non consente di essere dei fiori nel fango (per chi avesse questa velleità) ma così, poveretti, come faranno a dare consistenza alla loro vita di facile patinatura, grammatura irrilevante e polvere sbiancata dalla chimica ricca?

Ma poi ripenso alle cose importanti, alle storie libere e al fatto che girano leggende su un Robin Hood dei mari che rubava su navi imperiali per ridare tutto agli indios… ma forse le sto solo pensando adesso per ridere all’idea di un pirata in calzamaglia, un nobile senza terra perché per mare, con la capacità di ascoltarlo e anche di giudicare secondo un suo codice difficile e imprescindibile.

Cammino a passo svelto e realizzo che le giostre dei parchi a volte conservano ancora questi fantastici caroselli laccati, con cavalli buoni per film horror di terza categoria, crepe negli smalti, musiche che saltano e senza ondeggiare più e ricordi carichi di significato solo nell’immaginario collettivo. Quindi decido di fare un giro sopra il carosello di questo parco, con la mia bellissima nave in bottiglia sempre con me e penso ad un’altra leggenda, quella di quel direttore di manicomio che mise tutti i suoi matti su una bagnarola, e quelli tornarono, carichi di ogni meraviglia e con una nave incredibile, diventata così con il legno e la fantasia di chi non ha condizioni.

So che le pieghe sotto i piedi dovrebbero dire e predire qualcosa, di solito le tocco e le seguo per un po’ ma va sempre a finire che mi perdo e allora capisco veramente cosa devo fare oggi, salgo in macchina, non vado veloce, non ne ho bisogno, il mare è vicino.

Tolgo le scarpe e arrotolo i pantaloni, camminare sulla sabbia fa bene all’anima, entro nell’acqua che si muove senza pretese, pur tuttavia bagna le falde del mio cappotto, adagio la bottiglia che galleggia e prende piano piano le distanze da me… e lo so che è solo perché non vuole farmi male.

La vedo crescere sempre di più, vedo la bottiglia scoppiare come una bolla di sapone, con tutti i suoi riflessi e i matti, i miei matti, che mi salutano e ringraziano andando via lontano per le meravigliose avventure che io non vivrò mai.

 

Nicholas Ciuferri

Tratto da Alberi, Edizioni Erasmo, e I racconti delle Nebbie, spettacolo di e con Paolo Benvegnù

Foto di Gerlando Giaccone

 

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