Nessuna come la parola “polvere, pulvis”, di etimo incerto, riesce a rendere il senso del tempo che scorre incessante e vanifica costantemente il presente, proiettando sulla felicità appena sfiorata l’ombra della fugacità. Nell’ode di Orazio (Carmina, IV, 7, 16) il verso “pulvis e umbra sumus” si contrappone con efficace evidenza all’incipit “Con le disciolte nevi torna il verde sugli alberi e sui prati…”. Alla primavera, con i suoi colori festosi e i profumi intensi, seguono le altre stagioni che, nel loro ciclico ritorno, sono il simbolo del fluire inesorabile delle ore, dei giorni, degli anni. La polvere, come l’ombra, ricorda che la vita è un sogno e, come i sogni svaniscono, così la polvere si elimina con un gesto leggero. Il tema della fuga del tempo e dell’ineluttabilità della pallida mors, che percorre costantemente la produzione lirica di Orazio, era già stato pienamente sviluppato nell’Ode quarta del primo libro, ma con accenti diversi perché il poeta era un giovane ancora esuberante e non un uomo maturo e piuttosto stanco. Nell’ode giovanile il ritorno della primavera suggeriva un senso di serenità, non ancora turbata dal pensiero che presto la cose più belle sono destinate ad essere cancellate; nei versi dell’uomo maturo e provato, gli stessi aspetti gioiosi della natura suscitano riflessioni più meste e persino accorate, dalle quali traspare che il pensiero della fine lo sgomenta. Il vuoto che di noi resta altro non è che pulvis et umbra. Potere magico delle parole che acquistano un sapore intenso con un accorto accostamento (callida iunctura) capace di creare suggestioni indimenticabili! Pregevole per il suo impianto sillogistico la versione medievale: “pulvis et umbra sumus, pulvis nihil est nisi fumu; sed nihil est fumus: nos nihil ergo sumus” Noi siamo polvere e ombra, la polvere non è che fumo, ma il fumo non è nulla: quindi noi non siamo nulla.
L’uso con significato diverso della parola nello stesso poeta (Carmina, I, 1, 3), “…sunt quos curriculo pulverem Olympicum / collegisse iuvat…” …ci sono quelli che amano coprirsi della polvere d’Olimpia…, permette di aggiungere una digressione di carattere linguistico.
La polisemia della parola “pulvis” ci invita a ricordare gli altri ambiti in cui veniva usata dai Romani. Tralasciando i casi in cui è sinonimo di “cinis”, cenere, con chiaro riferimento ai resti del corpo, può essere interessante ricordare che per metonimia il termine indicava il campo di corse, di esercitazioni sportive, come “domitant in pulvere currus”, volteggiano (nel senso che domano i carri e gli animali a cui sono aggiogati) con i carri nell’arena; in senso figurato indica un campo d’azione, di attività: “doctrinam in solem et pulverem producere”, proporre un insegnamento al sole e in pubblico; “procedere in solem et pulverem”, presentarsi in pubblico; “in suo pulvere” nel suo campo, nella sua carriera; “sine pulvere” senza fatica, senza sforzo, nel greco antico corrisponde l’espressione akoniti, con chiaro riferimento a koniV, polvere ; in senso traslato pulvis si usava al posto di terra, argilla. In tempo di Quaresima a qualcuno potrebbe risultare gradito ricordare l’ammonimento biblico nella forma rituale: Memento homo, quia pulvis es et in polverem reverteris da cui la locuzione popolare “Recitare il Mementomo”.
Paola Bray
Foto di Ryan McGinley