Mia madre non sopportava la polvere.
Passava intere giornate e cercare di levarla da sopra i mobili, gli oggetti. Usava sempre lo stesso piccolo pezzo di stoffa, quasi fosse un rito. Lo bagnava leggermente e poi strofinava tutto quello che le capitava sotto mano. Non sopportava la polvere, la odiava. Diceva che faceva cambiare l’anima alle cose. Il legno perdeva la sua brillantezza, così come le foto perdevano di verità. Non ho mai capito che cosa intendesse dire. Il sabato mattina si alzava presto e prima ancora di prendere il caffè, già tirava fuori il suo magico straccetto. Lo custodiva gelosamente dentro il comò in camera da letto. Lo trattava con gentilezza, con premura, come fosse un membro della famiglia: e non lo era? Una volta credo di averla sentita parlare con lui proprio mentre lo stava per riporre al sicuro nel cassetto.
Mia madre non sopportava la polvere, ma io non sopportavo che lei si occupasse solo di quello.
Ogni volta che volevo parlarle, dovevo stare attenta a dove mi posizionavo: se ero davanti a una finestra con lei di fronte, poteva essere una tragedia. Il sole mostrava tutta la polvere volare nell’aria e non c’era speranza che le mie parole catturassero la sua attenzione. Stessa cosa se capitava invece di sedersi di peso su una poltrona – sempre illuminata dalla luce del sole – lei impazziva. Iniziava a muoversi scattosa, in preda ai tic. Tutta quella polvere nella sua casa, tra i suoi oggetti, sopra le sue cose. Per non parlare della polvere sui libri. Loro sono fatti per avere la polvere sopra, ma lei no, non ha mai voluto sentire ragioni. Ogni giorno li controllava tutti, uno per uno. E la nostra casa ne aveva parecchi. Mio padre era un professore di filosofia dell’università, quindi potete immaginare quanti volumi e testi e opuscoli fossero pieni tutti gli angoli di ogni stanza. Scaffali, mensole, scrivanie. Ma mia madre ligia a pulirli tutti, a sbatterli fuori dalla finestra come fossero lenzuola. Odiava la polvere, e noi odiavamo lei che odiava la polvere. Sembrava vivere solo per quello. Più ne toglieva e più ne vedeva spostarsi e riporsi nello stesso punto. Tutti quei puntini grigi, leggeri, fluttuanti. Così imprendibili, così fastidiosi. Ogni giorno puntuali a rovinare la sua quiete, modificare i sorrisi delle sue foto e spegnere il colore di un ricamo fatto da chissà chi, in chissà qualche anno. Oggi, tutte le volte che pulisco casa, ripenso a mia madre che si accaniva contro quello strano fantasma che non voleva fare del male a nessuno, forse solo divertirsi. Mi domando però quale vero fantasma stesse in realtà combattendo.
Ma forse, non lo saprò mai.
Mara Munerati
Foto di Eleanor Leonne Bennet