Ho i tuoi stessi occhi, ma non so se ho voglia di ammetterlo. Non mi piace mai ammettere di somigliarti. Ogni tanto sembra tu stia pregando, che cerchi un qualche perdono tra le cose da fare e le frasi lasciate a metà perché “tanto un giorno capirò da sola cosa vuol dire essere una madre”.
Lo dici come se fosse una maledizione e una speranza.
Quando venne fuori che stavo con quel ragazzo pieno di problemi piangesti un po’: sapevi che non avresti potuto davvero intervenire per salvarmi, che anche tu correvi dietro a uno pieno di problemi. Quello che poi ti aveva fatto conoscere l’amore e il rimpianto.
Quando eri incinta mangiavi la pizza, mi raccontavi. Sono nata e ha iniziato a nevicare. Era gennaio, tu avevi quasi 35 anni e hai avuto un travaglio lungo e difficile. È un dettaglio che hai ripetuto ossessivamente, ogni volta: “fuori nevicava e io sanguinavo”.
Ti prepari per uscire e sembri diversa. Non usi neanche un filo di trucco, ma il tuo viso cambia e si carica dell’energia di una promessa. Dove la prendi? È con quella che mi hai cresciuta? È grazie a quella che sei rimasta con noi, nonostante tutto?
Quando ti nascondi dietro quei grossi occhiali anni ’70 so che stai pensando al tuo passato. A quanto ti piaceva ballare ed essere ammirata per i lunghi capelli rossi. Nell’armadio avevi un vestito di quel tempo, mi ricordo, era marrone a fiori, ma lo hai tagliato e ne hai ricavato piccoli stracci irregolari da intingere nella trielina per smacchiare i miei vestiti, i miei casini.
Ti chini per baciarmi, ogni tanto. È un gesto aperto, netto, scomodo. Lo hai sempre fatto. Ed è anche un po’ prendermi alle spalle, come se temessi che quel bacio devi scipparmelo mentre sto seduta sul divano e penso ad altro. Mentre ho le difese abbassate e mi mancherebbe il tempo per sottrarmi al contatto con te. Quanto deve averti fatto male il mio sottrarmi al contatto con te.
Giochi con le dita delicate dei neonati, quando ne incontri uno. Non hai alcun timore delle creature fragili e imprevedibili: ti avvicini con quella dolcezza determinata che è la pasta di cui sei fatta e li tocchi. E loro ti rispondono gonfiando le guance o sorridendo. Non ne ho mai visto uno piangere in tua presenza. Ma come fai? È così che mi rivorresti? Docile? È di questo che hai nostalgia? Di ricordarti per quale assurdo motivo mi hai messa al mondo e hai lasciato che malgrado non mi desiderassi, stravolgessi la tua vita? Di capire perché continuo comunque a farti sanguinare?
Non so se voglio essere una madre, mamma, Ma, ti prego, fammi capire se, oltre a farmi baciare di sorpresa, posso fare qualcosa per te. Qualcosa che, per una volta, ti faccia sentire orgogliosa di me.
Francesca Amato