Un cuore umido, ventricoli presi nell’impeto di sistole e diastole, vene cave che si intersecano ancora grondanti. Mastro Benedetto tiene in mano l’organo compatto, la sua faccia inerte è rivolta all’orizzonte. Discende la collina lentamente mentre il sangue copioso segna le zolle. Dietro di lui alcuni compaesani accerchiano la carcassa imponente del bue, il manto lucido come velluto screziato da chiazze rosse umide. Lo squarcio sul ventre è nascosto dall’erba alta.
Prima dell’alba la terra in mezzo ai filari è fredda e il cuore riscalda la piccola fossa. Le mani scavano a fondo, l’humus bagnato si deposita sotto le unghie del vecchio. Tra parassiti e sali minerali la decomposizione del muscolo nutrirà micorrize e filamenti fibrosi di vegetazione, dinanzi alla vigna dei capostipiti. Quando il cuore sarà ricoperto da uno spesso strato di terra le radici verranno fortificate dalla resa dell’animale e dal coraggio dell’assalitore.
Con il groppo in gola gli uomini osservano sorgere il sole di un raccolto prospero, il compiersi del rituale. Gli occhi di mastro Benedetto si inumidiscono nel momento in cui i raggi gli attraversano le pupille. Avverte il dolore delle unghie scheggiate e le gambe tremanti dalla passione di una lotta infinita, uno sforzo in cui si riversa l’aspettativa di una stagione migliore.
L’uva sarà rossa e matura, tanto carnosa da schioccare sotto i denti. La generosità della vigna renderà abbondanti le risate degli ebbri durante la festa di settembre e le cicatrici si gonfieranno sulla pelle tesa e paonazza dopo tanto danzare tra le viti spoglie. Sarà bandita la carne quel giorno, scorrerà solo il mosto e il sangue di uomini e donne intenti a celebrare l’onore della bestia grassa. I corpi si muoveranno agitati dal suono dei tamburi, all’unisono il battito salirà dagli stomaci gonfi di vino e dalle radici, sotto le quali il tempo che scorre starà giacendo sepolto vivo.
Elisa Cappai
Foto: Emanuele Bencivenga