Un istante, poi un secondo, sessanta diventano un minuto e così via. Il tempo funziona così: è fatto di calcoli semplici e ripetitivi che, concatenandosi, creano un ordine ben preciso.
La questione è che il calcolo, il controllo del tempo stesso, appartiene alla natura umana: non è altro che una costruzione artefatta. Ci permette di poter pensare di controllarlo, perlomeno di controllare le nostre azioni collocandole in una labirintica serie di strutture che hanno la parvenza di una rete di salvataggio, dandoci la sensazione di non vivere nel vuoto. E l’uomo è maledettamente spaventato dal vuoto.
Una cinica visione delle paure umane, non è vero?
La paura è anche una delle maggiori spinte storiche: ha forgiato l’uomo e lo ha reso fautore delle sue stesse battaglie. Il calcolo del tempo è una delle sue conseguenze più nobili.
Per quanto possa salvarci dal vuoto, quella stessa rete ci incatena alla sua trama e alla paura, di nuovo, di non poter controllare nemmeno più noi stessi. Ed ora, in bilico su una culla che non nasconde più la sua natura, è il momento per l’uomo di costruire sé stesso. L’azione più bella, più formante e la più spaventosa insieme. Perché è lenta e prevede inevitabili errori che, in alcuni casi, si dimostrano tali solo all’apparenza.
Le nostre costruzioni ci accompagnano nella formazione di noi stessi, del nostro essere presente e, inconsapevolmente, anche del futuro e il passato.
Dalle cose più semplici alle più complesse. Come qualcuno disse in musica, “silenziosamente” e con la pazienza del proprio tempo.
Questa è la chiave della catena temporale.
Il tempo è costruzione umana, ma il proprio tempo e i propri attimi, riconoscere questi e creare le proprie lancette: ecco la vera rete di salvataggio. Quella che ci permette di non essere salvi mai e costruire ogni giorno, di nuovo.
Non con paura, ma speranza.
Arianna Franzolini