È nata intorno al 1944, non sa quando, dove, chi sia la sua famiglia, se ha fratelli o sorelle. Sa soltanto che, quando aveva pochi mesi, la madre l’ha scaraventata dentro la vita durante un inconsapevole viaggio verso la morte. L’olocausto. Ad una stazione ferroviaria i suoi genitori furono obbligati a salire su sporchi vagoni merci con quanti condividevano la loro stessa fede e avrebbero condiviso il loro stesso destino. A bordo di quelle prigioni itineranti, lei era in braccio alla madre, tutti i passeggeri erano in piedi, i loro corpi schiacciati l’uno all’altro; l’aria era pesante e il buio all’interno dei vagoni spezzato dalla fioca luce proveniente da una piccola finestra in alto, rivestita da una fitta maglia di filo spinato. Giunto ad ogni villaggio, il treno rallentava e fermava la sua corsa; sui binari altre persone erano forzate a salire. Proprio mentre il treno rallentava in prossimità di un’altra stazione, la madre con fatica si avvicinò alla piccola finestra e, dopo aver allargato le maglie di filo spinato, alzò la piccola sopra la propria testa e la lanciò dal treno. Alcune persone, che aspettavano di poter superare il passaggio a livello, videro la piccola volare dal treno e atterrare su un tappeto d’erba, avvolta da una spessa coperta. Qualcuno la raccolse e l’affidò ad una donna che si prese cura di lei e per lei rischiò la propria vita. Stimò che la bambina avesse pochi mesi, inventò un giorno per il suo compleanno e la chiamò Erika. Da qui ha inizio una nuova vita ed una diversa identità per Erika, intimamente legate a domande a cui mai avrà risposta. Erika non sa chi è, Erika è viva.