Un passo dopo l’altro continuo a camminare. Sento la corda conficcarsi tra l’alluce e l’illice e poi correre lungo la pianta del piede. Sento tutto il peso del mio corpo, ogni centimetro, ogni grammo, ogni istante. Faccio un respiro più lungo e aspetto che l’ossigeno arrivi fino al cervello. Chiudo gli occhi, solo per un attimo. Devo guardare dritto, devo andare avanti. Con la coda dell’occhio vedo il fiocco rosso appeso al polso del mio braccio sinistro teso. Con lui ci sono i miei sogni, i quadri, le canzoni e i sospiri. Vorrei adagiarmi su di loro ma dall’altra parte il peso del lavoro, delle scadenze e del pezzo di carta mi riportano al centro della mia vita. Ho voglia di guardare in basso, a volte lo faccio. Mi perdo nella vertigine di scontri futili e imperdonabili finzioni. Vedo guerre, sindaci, presidenti e segretari. Vedo occhi dolci di bambini tra mosche e zanzare e sorrisi beffardi di adulti sporchi di maionese del fast food. Rischio di cadere. È successo già. Un colpo d’ali di una farfalla dall’altra parte del mondo e mi sono ritrovata aggrappata con le mani a questa corda che ora mi scava al centro dei piedi. Con tenacia e arroganza ho aspettato qualcuno che mi porgesse una mano per aiutarmi a risalire. Ora non voglio più cadere. Tendo con più forza le braccia e continuo a camminare, in equilibrio, solo verso di me.