Il tempo di Antigone

Dal mito nasce una delle prime tragedie di Sofocle, Antigone.

Creonte, re di Tebe, emana un editto che vieta all’intera città, pena la morte, la sepoltura del corpo di Polinice. La città, che deve obbedire al capo che si è scelto, rimane inerme di fronte a tale decisione. La città, ma non Antigone.

Quest’ultima, sorella di Polinice, sfida la legge del sovrano e segue la legge del suo cuore, oppone alla res publica i sentimenti, affronta il potere, il tiranno che non ammette di essere meno saggio e più debole di una donna. Quella donna, che si ribellava lei sola, è Antigone che capovolge le sorti di un casato, si toglie la vita prima che venga spogliata del suo diritto naturale. Quella stessa donna è nata non per odiare, ma per amare.

Antigone rappresenta la voce dell’alterità, della sfida al cambiamento. È il nome di chi si assume il rischio di essere sempre sé stessi, di chi è custode di un valore irrinunciabile, di chi ha la consapevolezza che l’essere privata di quel valore fa più paura di morire.

Chi è oggi Antigone? È Rosa Parks, afroamericana che sull’autobus si rifiuta di lasciare il posto perché riservato a un bianco; è l’italiano Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare che chiede il diritto alla morte; è Sidqqa, donna musulmana lapidata perché fuggita con l’uomo che amava tradendo il marito che era stato scelto per lei; è la voce dell’innocenza di Carlos De Luna, condannato alla sedia elettrica.

La nostra non è un’epoca amitologica, i miti si ripetono, mai uguali a loro stessi, ma leggermente alterati. Sono storie che non avvennero mai, ma sono sempre.

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