3.36

Il suo sguardo carezzava lieve i titoli impolverati nella libreria mentre l’inaspettata brezza estiva irrompeva dalla finestra, animando le tende e agitando i suoi lunghi capelli. Provò a leggere qualcosa: una, due, tre righe, ma inevitabilmente perdeva il filo della narrazione; o forse inciampava in quello dei suoi pensieri. Si sentiva stretta nell’abbraccio delle pareti, quasi non fossero quelle domestiche. Eppure era a casa, ma nulla di familiare la confortava. Era come se si fosse dissolto il calore del quotidiano, dell’età passata, di tutta una vita. E quella valigia vuota sul letto, non faceva che ricordarglielo. Non aveva il coraggio di metterla via. La fissava. E mentre gli occhi sembravano non voler risalire da quel pozzo, nel suo petto strisciava viscida l’inquietudine che le stringeva il cuore in una morsa violenta. Pensava a quanto sarebbe stato bello riempirla di nuovo – questa volta di fretta – e correre alla stazione senza fiato e riprenderlo poi, trafelata e stordita, una volta seduta accanto al finestrino e andare, andare veloce, più rapidi del tempo; godersi lo spettacolo istantaneo e fugace al di là del vetro, fotografarlo con gli occhi e lasciarsi indietro le rotondità sinuose dei colli, il brio dei torrenti, i colori vividi delle case in lontananza, la tenerezza del pastore e del suo gregge. Quindi arrivare – arrivare finalmente –, scendere dal treno senza sentire il peso della valigia, ritrovarsi in un’occhiata complice per poi perdersi insieme nei gomitoli di strade, nel serpeggiare delle genti, nelle pittoresche botteghe, nel vino inebriante che dal bicchiere passa a volteggiare tortuoso nella gola, nel sugo della pasta che, furfante, sembra trovare in quell’angolo di bocca la sua tana e ridere di questo, ridere forte, sentirsi felici. Preziose memorie che ora le scivolavano via dagli occhi. In una notte di agosto tutto era stato inghiottito. La madre terra, aprendosi, si era ripresa la vita donata. Tra le macerie incastrata era la voglia di vivere; non le restavano che i ricordi e una frana tra i seni che non era dolore, ma l’amaro e impotente senso di colpa di essere ripartita il giorno prima della catastrofe.

 

Giorgia Pellorca

Foto di Theo Gosselin

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