Di sole, treni, partenze e Campari.

Forse è stato quel giorno in cui ho guardato il cielo e mi sono maledetta per aver lasciato di nuovo gli occhiali da sole a casa.


Seduta al bar della stazione, cercando di sudare meno vistosamente del calice tondeggiante che innalza il mio Campari ad un livello di happy hour cui solo le bollicine solitamente tendono. Controllo l’agenda, quella fisica, con le pagine di carta spessa, che quella digitale non la so usare. Non so usare neanche questa, le pagine spesse restano bianche, spesso, e non perché non ho nulla da fare! È che riesco a ricordarmi date, appuntamenti, impegni e scadenze tutto a mente. Così come mi ricordo di appuntare tutto sull’agenda, e le pagine restano bianche. Non prendo il treno mai, per scelta, ne ho una paura imbarazzante. Mi piace star qui, sentirli arrivare e svuotarsi e poi di nuovo ingozzarsi di vite e lentamente ripartire. Io no, non sono cibo per treni. Sfoglio distrattamente il giornale ed arriva. Di colpo. Dal nulla. Una figura nera ma dai contorni nitidi e gialli come nella più perfetta delle eclissi si impossessa dello spazio tra me e il sole. Si sposta quasi subito e si siede accanto a me, accende una sigaretta e guardando il cielo all’ombra di scurissimi RayBan, che evidentemente non ha lasciato sul mobile dell’ingresso, mi fa: “Allora? Che dici?…”

I pensieri iniziano a turbinare, ho il disco di Newton in testa, in un attimo mille coloratissimi pensieri girano fino a diventare bianchi, puri, neutri, nulla, arriva il treno, lo sento fischiare. Ho mille cose da dire, lo so, sono interessante e anche molto intelligente, mia madre non fa che ripeterlo a tutte le sue amiche. Potrei dire questo, è una cosa simpatica da dire, io sono simpatica, e parlo, so parlare. Ma non lo faccio. Mi guardo intorno, cerco un appiglio, poi guardo il cielo. Anche il sole si sta nascondendo dietro nuvole trasparenti, poi un piccolo raggio si affaccia a vedere come sta andando. Punta dritto verso di me, lo guardo e mi accieca.

“Voglio i miei occhiali!”

Lo dico a voce alta mentre si alza e corre verso il treno affamato che sta ripartendo. Forse è stato quel giorno in cui ho guardato il cielo e mi sono maledetta per aver lasciato di nuovo gli occhiali da sole a casa che tutto è iniziato. Senza stupide domande e risposte da bambina capricciosa. O forse molto prima. Senza parole.

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